Perché il Piccolo Festival della Politica

Qualche anno fa, esattamente nel 2010 quando già le mura perimetrali della Seconda Repubblica iniziavano a mostrare i primi segni di cedimento, Galli Della Loggia scriveva che “siamo un Paese che sente di essere nel mezzo di un passaggio assai difficile della sua storia. E sente di affrontare questo passaggio senza guida, abbandonato agli eventi, al giorno per giorno. Nessuno è in grado di dirgli qualcosa circa il futuro che lo aspetta, che ci aspetta. Nessuno vuole o sa parlare alla sua mente e al suo cuore. Nessuno è capace di indicargli una via e una speranza. Ma che cos’è questo se non il compito della politica? Ecco allora il vero cuore duro della nostra crisi. Ciò di cui l’Italia è oggi drammaticamente e specialmente priva è la politica…, la quale nella sua accezione più vera non significa altro che un progetto per la città, un’idea del suo destino”

È stata questa semplice verità, già sotto gli occhi di tutti noi, quest’apparizione miracolosa, a indurmi e a indurci a pensare, organizzare e promuovere l’idea all’apparenza folle e antipatica di un festival dedicato alla politica, quindi un appuntamento pensato e voluto in una visione di unicum tra società civile e classi dirigenti, tra cittadini e partiti, tra élite e popoli.

In questi nove anni abbiamo assistito al tramonto definitivo della Seconda Repubblica, diventata -a furor di felpe colorate e allegri congiuntivi- Terza per trasformarsi, dopo solo 14 mesi di ringhiosa collaborazione, nella nuova e ancora incerta Quarta Repubblica. In questi nove anni poi, abbiamo mandato in soffitta numerosi dei protagonisti del ventennio precedente e, senza nostalgia alcuna, abbiamo aperto le porte ai nuovi Matteo, Renzi e Salvini, e soprattutto ai cittadini pentastellati, da Di Maio a Di Battista, che hanno prima e più di tutti dissacrato e martellato la professionalizzazione della politica osannando l’esaltazione di una necessaria, ineludibile, salvifica democrazia iperdiretta.

Eppure, nonostante i nuovi nemici da ab-battere, dagli immigrati all’euro, dalle banche alla Merkel, i risultati sono ancora deludenti e la politica continua a essere in crisi di credibilità e affidabilità dei ruoli e delle competenze.

Oggi, o forse ancor di più che nel 2010, è opportuno interrogarsi e verificare i nostri limiti, è urgente comprenderci per comprendere la politica, per aver chiara l’idea da dove, come e con chi ripartire. Ecco, sono queste le motivazioni che richiedono un confronto a più voci che ha come scopo quello di indagare e monitorare lo stato di salute della politica all’italiana.

È questo il senso e l’essenza del Piccolo Festival della Politica, una prateria di comunicazione popolare e multipolare, volutamente piccolo perché accessibile, alla portata di tutti, un festival senza giacca e regimental, che metta a suo agio l’imprenditore e l’artigiano, lo studente e il pensionato, il consigliere comunale di San Lupo e il ministro della Repubblica Italiana.
Per noi, l’aggettivo piccolo continua a non essere una deminutio ma, al contrario, è il banco di prova con il quale la classe politica deve confrontarsi per misurare la capacità e la volontà di “dialogare e farsi comprendere” e tornare così a essere credibile, affidabile, stimata.


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